In esclusiva ai microfoni di "Taca La Marca", durante una diretta sul profilo Instagram, è intervenuto Victor Hugo Mareco. L'ex difensore di Brescia e Verona tra le altre, che sta vivendo le ultime fasi della sua carriera in Paraguay con l'Independiente Fbc, ha raccontato vari aneddoti riguardo alla sua lunga carriera italiana, che l'ha visto giocare con mostri sacri come Baggio e Guardiola e giovani in rampa di lancio come Hamsik. Ecco le sue parole.
IL COVID IN PARAGUAY E L'ASTA DELLE MAGLIE - "Anche qui, ora, la situazione si sta complicando un po', con tanti contagi e qualche difficoltà. Nei mesi scorsi abbiamo provato a dare una mano organizzando un'asta per vendere alcune delle mie maglie più prestigiose (tra queste, quelle di Baggio, Ronaldinho, Gamarra ecc). L'idea è nata con mia moglie, perchè qui molte persone sono in difficoltà economiche o hanno bisogno. L'anno scorso, quando è iniziata l'emergenza-COVID in Paraguay, è rimasto tutto chiuso, la gente non ha lavorato e alcune famiglie non riuscivano più a mangiare. Avevo tante maglie, non è stato facile separarmene (ride, ndr), ma dovevamo fare qualcosa per aiutare queste persone. Mi ha fatto piacere che in tanti si siano mossi per aiutare".
LE MAGLIE - "La più "preziosa" e più bella che ho raccolto in carriera è quella che non ho dovuto scambiare con la mia, perchè eravamo compagni di squadra nel Brescia, ed è quella di Roberto Baggio. Per me ha significato molto. Per il resto, è difficile nominare qualche maglia nello specifico: in quel periodo le grandi erano piene di grandissimi giocatori e li trovavi anche nelle piccole. Giocavi con la Juve e sognavi la maglia di ogni giocatore, lo stesso con Milan, Inter ecc. Ho ottenuto però tante belle maglie: Rivaldo, Ibrahimovic, Guardiola... Dirne solo una, oltre a quella di Roby, è difficile".
L'ARRIVO A BRESCIA - "Sono arrivato nel 2001, portato da Maurizio Micheli, un procuratore che lavorava a Brescia, ed ero reduce dal Mondiale U17 col Paraguay. Ero molto giovane, non è stato facile, soprattutto nel passaggio dal clima sudamericano al freddo di Brescia, che è stato traumatico. I bresciani però mi hanno accolto benissimo, con calore, non facendomi mancare nulla, e il presidente Gino Corioni è stato un secondo padre per me. Inizialmente è stata dura, però poi mi sono sentito a casa. Per di più giocavo in una grandissima squadra, con molti grandi giocatori che mi hanno fatto integrare al meglio: in un anno, mi sentivo già bresciano".
MAZZONE - "Gli devo tanto, mi ha fatto esordire in Serie A (contro la Reggina, nel 2002) e mi ha dato tantissima fiducia, cosa non scontata in quel periodo per un giocatore di 18 anni che viene dal Sudamerica: è stato fondamentale per me, il miglior allenatore della mia carriera. Avevo 18 anni, mi ha insegnato tanto ed è una grande persona oltre che un grande tecnico: lo rispettavano e amavano tutti, me compreso. Anche se a volte avevo più paura di lui che degli avversari (ride, ndr). Tra un po' diventerò allenatore e lui è senza dubbio uno di quelli a cui mi ispirerò maggiormente: ha fatto esordire grandi giocatori, sapeva quello che voleva, sapeva sempre cosa fare nell'arco del match e soprattutto sapeva guidare il gruppo pur avendo giocatori fondamentali. Questa è la cosa più importante per un allenatore".
PEP GUARDIOLA - "Al Brescia vedevo Pep come un compagno: era stato capitano del Barcellona, una leggenda che ha vinto tutto nel club, e giocare con lui fianco a fianco è stata una delle esperienze più belle della mia carriera. Non posso dire che mi sarei aspettato che sarebbe diventato un tecnico così determinante e vincente, però in campo era già un allenatore: si vedeva da come si muoveva, come giocava, da come sapeva sempre cosa fare. Non correva molto, ma sapeva guidare i compagni e parlava tanto. Vedere ciò che ha fatto col Barça e negli anni seguenti mi rende orgoglioso di aver giocato e imparato da lui al Brescia".
IL DIVIN CODINO - "Quando eravamo in albergo, molte persone venivano appositamente dal Giappone o dalla Cina solo per farsi una foto con lui. Questo dà la dimensione della sua grandezza, però Baggio ha sempre mostrato una grandissima umiltà. Stare in panchina o vederlo giocare dal campo e in allenamento era sempre un piacere indescrivibile: era impressionante, devastante. In allenamento non sbagliava una punizione, mai. Il gol che mi ricordo maggiormente è il gol numero 200, al Parma, di cui ho una foto (Victor ha dietro di sè un muro tappezzato di foto dei suoi momenti al Brescia o nei vecchi club, ndr): Roby è solo in mezzo a 5-6 difensori tra cui c'era Matteo Ferrari, eppure riesce a fare una finta, tirare e metterla esattamente dove voleva. Ero in difesa in quel match, stavo giocando e sono rimasto a bocca aperta. Vi racconto un aneddoto. Ero in Primavera e giocavamo l'amichevole con la Prima Squadra, mister Menichini, il vice di Mazzone ci guarda e ci dice: "Occhio, perchè chi fa fallo su Roberto Baggio va a casa. Vi rispediamo da dove venite". Era poco dopo l'infortunio, però nessuno poteva toccare Roby o fare contrasti duri su di lui. Personalmente ero in soggezione e non facevo certi interventi per rispetto: far male, anche senza volere, a un giocatore come lui, voleva dire perdere molte chances di vincere tantissime partite. Quindi, anche se faceva tunnel o giocate spettacolari, in allenamento si andava "morbidi": con un altro giocatore avrei fatto qualche contrasto duro, Roby invece si era guadagnato un rispetto tale per cui ci andavamo piano".
IL BRESCIA DEI CAMPIONI - "Era difficilissimo marcare giocatori come Baggio o Tare in allenamento. Erano fortissimi, io ero molto giovane e in ogni allenamento ti insegnavano qualcosa. C'erano un grande spirito e una grande competizione. In allenamento, loro scommettevano sulle partitelle e quant'altro: magari si giocavano un aperitivo, una merenda, qualche soldino. Così si costruivano la responsabilità, la voglia di vincere e si toglieva tensione in vista delle vere partite: a volte c'era più tensione nelle partitelle in Serie A, perchè Roby scommetteva contro Tare, Ighli contro Petruzzi (il centrale) ecc. Non era una mera questione di soldi, ma di competitività e mentalità vincente: anche così sono diventati grandissimi giocatori. Col senno di poi, posso dire che quei momenti mi hanno fatto imparare moltissimo".
HAMSIK - "Arrivò giovanissimo, eravamo in Serie B e venne inserito in Primavera. Si allenava con noi, aveva una personalità incredibile e calciava indifferentemente col destro e col sinistro: era capace di tirare un rigore col destro e punizione col sinistro a pochi minuti di distanza. A 18/19 anni diventò titolare e sembrava che giocasse con noi da vent'anni: due/tre partite ed era rigorista. Parlava poco, si allenava duramente ed era un leader. Non mi sono stupito quand'è diventato un grande giocatore, è andato al Napoli e ha avuto una carriera di altissimo livello".
CRAGNO - "Quando ero al Brescia, era molto giovane, si allenava con noi e aveva molta voglia e un ottimo istinto. Lo seguo su Instagram e non sono sorpreso che sia diventato uno dei migliori portieri in Italia: si merita tutto quello che sta ottenendo, era un grande professionista già da giovane, oltre ad essere un ragazzo molto buono e genuino".
I MIGLIORI MOMENTI AL BRESCIA - "Il ricordo che porterò sempre con me è quello del gol contro il Cittadella, nei playoff. Nel match precedente giocavamo contro il Padova, ci bastava vincere per essere promossi in Serie A dopo tanti anni di B e abbiamo perso: io ero in tribuna, scelta del mister, e dissi a Corioni, che si era preoccupato perchè non ero stato schierato, che volevo giocare a tutti i costi contro il Cittadella. Era un match troppo importante, ero al Brescia da tantissimi anni e sapevo che quello era uno dei momenti decisivi per la promozione. Dissi a Corioni, "Se non gioco io, li meno tutti (ride)". Poi è andato tutto bene: ho giocato, ho segnato, abbiamo vinto e battendo il Torino abbiamo riconquistato la Serie A. Ci sono stati tanti momenti belli, ma questo li batte tutti. Avevamo vissuto anni bellissimi con Baggio ecc. in Serie A, poi siamo rimasti per 4 anni in Serie B perdendo sempre la promozione ai playoff, e quell'anno siamo riusciti a risalire battendo prima il Cittadella e poi il Torino, in quella partita in cui Cairo mi denunciò accusandomi di aver minacciato i giocatori del Torino. Siamo rimasti in A un solo anno, poi siamo retrocessi e nell'anno seguente sono andato al Verona: avrei chiuso volentieri al Brescia, però era giunto il momento di cambiare aria. Un altro match che ricordo con piacere è la vittoria in Serie B contro la Juventus, con la tripletta di Serafini: la ricordo anche perchè dopo il match chiese la maglia a Buffon, che gliela negò perchè era infuriato per la sconfitta (ride)".
MARECO E LE BIG - "C'è stato un momento in cui sono stato molto vicino alla Roma, in prestito, ma la squadra che mi ha cercato con maggior convinzione è stato lo Shakhtar Donetsk di Lucescu: mi volevano fortemente e Corioni rifiutò l'offerta. Anni dopo, quando sono andato via da Brescia, mi disse che il suo rammarico è stato quello di non avermi venduto al momento giusto, quando avevo delle offerte e volevo andare. Economicamente mi dispiace non essere andato allo Shakhtar, però non mi pento: sono rimasto dove stavo benissimo, ero felice al Brescia e ho un legame speciale con quel club e quella città, dove sono cresciuto come giocatore, come uomo e sono nati e cresciuti i miei figli. Seguo tuttora il club, vedo le partite appena posso e mi sento bresciano: devo tutto ciò che sono come uomo e come persona a Brescia e al Brescia. L'anno scorso ho visto tutte le gare del Brescia in Serie A: Tonali era ed è un grandissimo giocatore, però non mi piaceva che prendessero troppi gol e ho pensato "Se ci fossi stato io..." (ride, ndr). Mi piacerebbe tanto tornare a Brescia e in Italia, quando sarà possibile".
LA SERIE A E IBRA - "Ibra sta facendo la differenza nel Milan, e l'arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juventus ha dato un'altra spinta a una Serie A che negli ultimi anni aveva perso qualcosa ed era quasi diventata un torneo di passaggio verso la big di turno. Ora il vostro campionato sta tornando grande. Ibra è davvero sorprendente, non mi aspettavo che facesse così tanto la differenza. Quando ci giocavo contro, a me piaceva menare (ride), però con lui non si poteva scherzare: intervenivi e restava sempre in piedi, e non potevi andare oltre perchè un maestro d'arti marziali e ti intimidivi. Lui, fisicamente, era difficilissimo da marcare, così come Adriano: potevi mettergli addosso tre difensori, lui prendeva e andava via ugualmente. In quel periodo, in Serie A, c'erano due tipi di attaccanti: quelli che ti distruggevano fisicamente, "sdraiandoti" per terra come Ibra, Vieri e Adriano. E quelli che ti superavano con dei movimenti pazzeschi e imprevedibili, come Crespo e Trezeguet: un attimo prima li stavi marcando, un attimo dopo erano davanti a te e stavano segnando. Ti facevano impazzire, e lì capivi perchè erano diventati così grandi".
VERONA - "Verona è come Brescia, una piazza caldissima che ti supporta anche nei momenti più difficili, perchè i tifosi vedono che stai dando tutto e sanno che devono restare al tuo fianco. Per questo motivo, mi sono trovato bene nell'anno a Verona, mi sono sentito importante, sono stato molto felice lì e sono contento che la squadra stia giocando così bene ora. Al Verona ho giocato con Jorginho, che aveva vent'anni ma, come Hamsik, era un veterano: aveva una tecnica invidiabile, faceva sempre il movimento giusto e aveva una personalità incredibile. Si è visto al Verona, si è visto al Napoli, si sta vedendo al Chelsea e in Nazionale: è un leader e si prende dei rigori importanti, calciandoli con quel saltino lì. Al Verona ho conosciuto molto bene lui, che è una persona splendida, e i portieri brasiliani Rafael e Nicolas".
DE ZERBI - "Ho giocato con lui al Brescia, era un ragazzo speciale e con un carattere davvero forte, con una personalità incredibile e un mancino letale: poteva mettere la palla dove voleva. Lavora bene, predica un bel calcio e riesce a farsi seguire dai giocatori perchè avendo giocato tanto sa gestire lo spogliatoio e sa esattamente quali sono le esigenze di ognuno. Ci sono tanti allenatori che magari capiscono molto di calcio e sulla carta sarebbero bravissimi, però non sanno guidare il gruppo, e a quel punto non serve a niente avere tutte quelle conoscenze perchè finisci col litigare e farti allontanare. Poi ci sono i tecnici come Mourinho, che non hanno mai giocato, ma sono perfetti perchè entrano nel cuore e nella testa dei giocatori. Roberto è la giusta via di mezzo, e secondo me è pronto per una big".
IL RITORNO IN PARAGUAY - "Sono tornato nel 2012, vestendo la maglia del Cerro Porteño, poi ho vestito le maglie di Nacional (di Asuncion, ndr), Sol de America e ora sono all'Independiente Fbc. Ora che sto cominciando a smettere di giocare, mi rendo conto che ho completamente sbagliato il momento per tornare in Paraguay: sarei dovuto tornare adesso che ho 36 anni, e non così presto. L'Italia mi manca molto, ho tanti amici e spero di tornarci presto, anche per iniziare la mia futura carriera da allenatore/preparatore. Sono stato molto bene in ogni club del Paraguay, ma il mio futuro è in Italia e vorrei stabilirmi lì. Il calcio paraguaiano è cresciuto un po', però ci manca qualcosa rispetto ai team brasiliani e argentini: hanno più intensità, più qualità, un altro tipo di investimenti e non a caso si giocano sempre tra di loro la Libertadores e macinano successi. Il Paraguay può crescere se avrà pazienza e continuerà a investire tempo e risorse sui giovani: ci sono tanti giovani talenti che stanno esplodendo e possono fare grandi cose in futuro. Una pazienza che sta mancando ad esempio in Nazionale, dove i commissari tecnici finiscono subito sotto pressione e non riescono a creare un progetto: dovremmo imitare la Colombia, che dopo aver saltato un paio di Mondiali ha ottenuto i frutti di un progetto sul lungo periodo, sfoderando talenti su talenti e facendo crescere i vari Cuadrado, Muriel ecc. O come l'Uruguay, che ha dei grandi veterani, ma sta anche lanciando giovani come Valverde, Bentancur e Nunez ed è sempre ai Mondiali, non steccando un colpo. Qui invece si pensa solo a vincere la singola competizione, senza poi riuscirci, e c'è grande confusione".
UN TALENTO DAL PARAGUAY - "Ivan Franco è il miglior talento del paese: è un trequartista/seconda punta giovane e dalla buona tecnica, che sta crescendo bene e per crescere ulteriormente dovrebbe sbarcare in Europa, magari proprio in Serie A. Se non passi al livello successivo, è difficile proseguire in un percorso di crescita, perchè in Europa ormai a 18/20 anni si gioca in Champions League e si matura più velocemente. Personalmente credo che i giovani come Ivan Franco debbano fare un po' come ho fatto io, sbarcando giovani in Europa e crescendo in quel continente, magari attraverso qualche prestito che gli consenta di giocare e mettersi in mostra, non necessariamente per il club che li acquista".
LA LIBERTADORES - "La finale sarà molto equilibrata. Il Palmeiras è molto forte dal punto di vista tattico, il Santos gioca molto bene: è difficile fare previsioni, anche perchè la gara secca, che c'è da poco in Sudamerica, aggiunge pressione ed emozioni. Personalmente tifo per il Palmeiras: il capitano è Gustavo Gomez (l'ex Milan), paraguaiano come me, ma può finire in tutti i modi".
IL RIMPIANTO - "Non ho rimpianti per la mia breve esperienza in Nazionale. Ho giocato solo un match in Nazionale nel 2011, ma se nei dieci anni precedenti non sono mai stato convocato, vuol dire che altri erano più forti o più in forma di me. Il mio rimpianto è di aver lasciato troppo presto l'Italia: col senno di poi, avevo le qualità per restare ancora molto tempo in Serie A e in Europa. Quando allenerò, cercherò di evitare che i giovani ripetano questo ed altri errori che ho commesso nella mia carriera".
di Napoli Magazine
23/01/2024 - 10:43
In esclusiva ai microfoni di "Taca La Marca", durante una diretta sul profilo Instagram, è intervenuto Victor Hugo Mareco. L'ex difensore di Brescia e Verona tra le altre, che sta vivendo le ultime fasi della sua carriera in Paraguay con l'Independiente Fbc, ha raccontato vari aneddoti riguardo alla sua lunga carriera italiana, che l'ha visto giocare con mostri sacri come Baggio e Guardiola e giovani in rampa di lancio come Hamsik. Ecco le sue parole.
IL COVID IN PARAGUAY E L'ASTA DELLE MAGLIE - "Anche qui, ora, la situazione si sta complicando un po', con tanti contagi e qualche difficoltà. Nei mesi scorsi abbiamo provato a dare una mano organizzando un'asta per vendere alcune delle mie maglie più prestigiose (tra queste, quelle di Baggio, Ronaldinho, Gamarra ecc). L'idea è nata con mia moglie, perchè qui molte persone sono in difficoltà economiche o hanno bisogno. L'anno scorso, quando è iniziata l'emergenza-COVID in Paraguay, è rimasto tutto chiuso, la gente non ha lavorato e alcune famiglie non riuscivano più a mangiare. Avevo tante maglie, non è stato facile separarmene (ride, ndr), ma dovevamo fare qualcosa per aiutare queste persone. Mi ha fatto piacere che in tanti si siano mossi per aiutare".
LE MAGLIE - "La più "preziosa" e più bella che ho raccolto in carriera è quella che non ho dovuto scambiare con la mia, perchè eravamo compagni di squadra nel Brescia, ed è quella di Roberto Baggio. Per me ha significato molto. Per il resto, è difficile nominare qualche maglia nello specifico: in quel periodo le grandi erano piene di grandissimi giocatori e li trovavi anche nelle piccole. Giocavi con la Juve e sognavi la maglia di ogni giocatore, lo stesso con Milan, Inter ecc. Ho ottenuto però tante belle maglie: Rivaldo, Ibrahimovic, Guardiola... Dirne solo una, oltre a quella di Roby, è difficile".
L'ARRIVO A BRESCIA - "Sono arrivato nel 2001, portato da Maurizio Micheli, un procuratore che lavorava a Brescia, ed ero reduce dal Mondiale U17 col Paraguay. Ero molto giovane, non è stato facile, soprattutto nel passaggio dal clima sudamericano al freddo di Brescia, che è stato traumatico. I bresciani però mi hanno accolto benissimo, con calore, non facendomi mancare nulla, e il presidente Gino Corioni è stato un secondo padre per me. Inizialmente è stata dura, però poi mi sono sentito a casa. Per di più giocavo in una grandissima squadra, con molti grandi giocatori che mi hanno fatto integrare al meglio: in un anno, mi sentivo già bresciano".
MAZZONE - "Gli devo tanto, mi ha fatto esordire in Serie A (contro la Reggina, nel 2002) e mi ha dato tantissima fiducia, cosa non scontata in quel periodo per un giocatore di 18 anni che viene dal Sudamerica: è stato fondamentale per me, il miglior allenatore della mia carriera. Avevo 18 anni, mi ha insegnato tanto ed è una grande persona oltre che un grande tecnico: lo rispettavano e amavano tutti, me compreso. Anche se a volte avevo più paura di lui che degli avversari (ride, ndr). Tra un po' diventerò allenatore e lui è senza dubbio uno di quelli a cui mi ispirerò maggiormente: ha fatto esordire grandi giocatori, sapeva quello che voleva, sapeva sempre cosa fare nell'arco del match e soprattutto sapeva guidare il gruppo pur avendo giocatori fondamentali. Questa è la cosa più importante per un allenatore".
PEP GUARDIOLA - "Al Brescia vedevo Pep come un compagno: era stato capitano del Barcellona, una leggenda che ha vinto tutto nel club, e giocare con lui fianco a fianco è stata una delle esperienze più belle della mia carriera. Non posso dire che mi sarei aspettato che sarebbe diventato un tecnico così determinante e vincente, però in campo era già un allenatore: si vedeva da come si muoveva, come giocava, da come sapeva sempre cosa fare. Non correva molto, ma sapeva guidare i compagni e parlava tanto. Vedere ciò che ha fatto col Barça e negli anni seguenti mi rende orgoglioso di aver giocato e imparato da lui al Brescia".
IL DIVIN CODINO - "Quando eravamo in albergo, molte persone venivano appositamente dal Giappone o dalla Cina solo per farsi una foto con lui. Questo dà la dimensione della sua grandezza, però Baggio ha sempre mostrato una grandissima umiltà. Stare in panchina o vederlo giocare dal campo e in allenamento era sempre un piacere indescrivibile: era impressionante, devastante. In allenamento non sbagliava una punizione, mai. Il gol che mi ricordo maggiormente è il gol numero 200, al Parma, di cui ho una foto (Victor ha dietro di sè un muro tappezzato di foto dei suoi momenti al Brescia o nei vecchi club, ndr): Roby è solo in mezzo a 5-6 difensori tra cui c'era Matteo Ferrari, eppure riesce a fare una finta, tirare e metterla esattamente dove voleva. Ero in difesa in quel match, stavo giocando e sono rimasto a bocca aperta. Vi racconto un aneddoto. Ero in Primavera e giocavamo l'amichevole con la Prima Squadra, mister Menichini, il vice di Mazzone ci guarda e ci dice: "Occhio, perchè chi fa fallo su Roberto Baggio va a casa. Vi rispediamo da dove venite". Era poco dopo l'infortunio, però nessuno poteva toccare Roby o fare contrasti duri su di lui. Personalmente ero in soggezione e non facevo certi interventi per rispetto: far male, anche senza volere, a un giocatore come lui, voleva dire perdere molte chances di vincere tantissime partite. Quindi, anche se faceva tunnel o giocate spettacolari, in allenamento si andava "morbidi": con un altro giocatore avrei fatto qualche contrasto duro, Roby invece si era guadagnato un rispetto tale per cui ci andavamo piano".
IL BRESCIA DEI CAMPIONI - "Era difficilissimo marcare giocatori come Baggio o Tare in allenamento. Erano fortissimi, io ero molto giovane e in ogni allenamento ti insegnavano qualcosa. C'erano un grande spirito e una grande competizione. In allenamento, loro scommettevano sulle partitelle e quant'altro: magari si giocavano un aperitivo, una merenda, qualche soldino. Così si costruivano la responsabilità, la voglia di vincere e si toglieva tensione in vista delle vere partite: a volte c'era più tensione nelle partitelle in Serie A, perchè Roby scommetteva contro Tare, Ighli contro Petruzzi (il centrale) ecc. Non era una mera questione di soldi, ma di competitività e mentalità vincente: anche così sono diventati grandissimi giocatori. Col senno di poi, posso dire che quei momenti mi hanno fatto imparare moltissimo".
HAMSIK - "Arrivò giovanissimo, eravamo in Serie B e venne inserito in Primavera. Si allenava con noi, aveva una personalità incredibile e calciava indifferentemente col destro e col sinistro: era capace di tirare un rigore col destro e punizione col sinistro a pochi minuti di distanza. A 18/19 anni diventò titolare e sembrava che giocasse con noi da vent'anni: due/tre partite ed era rigorista. Parlava poco, si allenava duramente ed era un leader. Non mi sono stupito quand'è diventato un grande giocatore, è andato al Napoli e ha avuto una carriera di altissimo livello".
CRAGNO - "Quando ero al Brescia, era molto giovane, si allenava con noi e aveva molta voglia e un ottimo istinto. Lo seguo su Instagram e non sono sorpreso che sia diventato uno dei migliori portieri in Italia: si merita tutto quello che sta ottenendo, era un grande professionista già da giovane, oltre ad essere un ragazzo molto buono e genuino".
I MIGLIORI MOMENTI AL BRESCIA - "Il ricordo che porterò sempre con me è quello del gol contro il Cittadella, nei playoff. Nel match precedente giocavamo contro il Padova, ci bastava vincere per essere promossi in Serie A dopo tanti anni di B e abbiamo perso: io ero in tribuna, scelta del mister, e dissi a Corioni, che si era preoccupato perchè non ero stato schierato, che volevo giocare a tutti i costi contro il Cittadella. Era un match troppo importante, ero al Brescia da tantissimi anni e sapevo che quello era uno dei momenti decisivi per la promozione. Dissi a Corioni, "Se non gioco io, li meno tutti (ride)". Poi è andato tutto bene: ho giocato, ho segnato, abbiamo vinto e battendo il Torino abbiamo riconquistato la Serie A. Ci sono stati tanti momenti belli, ma questo li batte tutti. Avevamo vissuto anni bellissimi con Baggio ecc. in Serie A, poi siamo rimasti per 4 anni in Serie B perdendo sempre la promozione ai playoff, e quell'anno siamo riusciti a risalire battendo prima il Cittadella e poi il Torino, in quella partita in cui Cairo mi denunciò accusandomi di aver minacciato i giocatori del Torino. Siamo rimasti in A un solo anno, poi siamo retrocessi e nell'anno seguente sono andato al Verona: avrei chiuso volentieri al Brescia, però era giunto il momento di cambiare aria. Un altro match che ricordo con piacere è la vittoria in Serie B contro la Juventus, con la tripletta di Serafini: la ricordo anche perchè dopo il match chiese la maglia a Buffon, che gliela negò perchè era infuriato per la sconfitta (ride)".
MARECO E LE BIG - "C'è stato un momento in cui sono stato molto vicino alla Roma, in prestito, ma la squadra che mi ha cercato con maggior convinzione è stato lo Shakhtar Donetsk di Lucescu: mi volevano fortemente e Corioni rifiutò l'offerta. Anni dopo, quando sono andato via da Brescia, mi disse che il suo rammarico è stato quello di non avermi venduto al momento giusto, quando avevo delle offerte e volevo andare. Economicamente mi dispiace non essere andato allo Shakhtar, però non mi pento: sono rimasto dove stavo benissimo, ero felice al Brescia e ho un legame speciale con quel club e quella città, dove sono cresciuto come giocatore, come uomo e sono nati e cresciuti i miei figli. Seguo tuttora il club, vedo le partite appena posso e mi sento bresciano: devo tutto ciò che sono come uomo e come persona a Brescia e al Brescia. L'anno scorso ho visto tutte le gare del Brescia in Serie A: Tonali era ed è un grandissimo giocatore, però non mi piaceva che prendessero troppi gol e ho pensato "Se ci fossi stato io..." (ride, ndr). Mi piacerebbe tanto tornare a Brescia e in Italia, quando sarà possibile".
LA SERIE A E IBRA - "Ibra sta facendo la differenza nel Milan, e l'arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juventus ha dato un'altra spinta a una Serie A che negli ultimi anni aveva perso qualcosa ed era quasi diventata un torneo di passaggio verso la big di turno. Ora il vostro campionato sta tornando grande. Ibra è davvero sorprendente, non mi aspettavo che facesse così tanto la differenza. Quando ci giocavo contro, a me piaceva menare (ride), però con lui non si poteva scherzare: intervenivi e restava sempre in piedi, e non potevi andare oltre perchè un maestro d'arti marziali e ti intimidivi. Lui, fisicamente, era difficilissimo da marcare, così come Adriano: potevi mettergli addosso tre difensori, lui prendeva e andava via ugualmente. In quel periodo, in Serie A, c'erano due tipi di attaccanti: quelli che ti distruggevano fisicamente, "sdraiandoti" per terra come Ibra, Vieri e Adriano. E quelli che ti superavano con dei movimenti pazzeschi e imprevedibili, come Crespo e Trezeguet: un attimo prima li stavi marcando, un attimo dopo erano davanti a te e stavano segnando. Ti facevano impazzire, e lì capivi perchè erano diventati così grandi".
VERONA - "Verona è come Brescia, una piazza caldissima che ti supporta anche nei momenti più difficili, perchè i tifosi vedono che stai dando tutto e sanno che devono restare al tuo fianco. Per questo motivo, mi sono trovato bene nell'anno a Verona, mi sono sentito importante, sono stato molto felice lì e sono contento che la squadra stia giocando così bene ora. Al Verona ho giocato con Jorginho, che aveva vent'anni ma, come Hamsik, era un veterano: aveva una tecnica invidiabile, faceva sempre il movimento giusto e aveva una personalità incredibile. Si è visto al Verona, si è visto al Napoli, si sta vedendo al Chelsea e in Nazionale: è un leader e si prende dei rigori importanti, calciandoli con quel saltino lì. Al Verona ho conosciuto molto bene lui, che è una persona splendida, e i portieri brasiliani Rafael e Nicolas".
DE ZERBI - "Ho giocato con lui al Brescia, era un ragazzo speciale e con un carattere davvero forte, con una personalità incredibile e un mancino letale: poteva mettere la palla dove voleva. Lavora bene, predica un bel calcio e riesce a farsi seguire dai giocatori perchè avendo giocato tanto sa gestire lo spogliatoio e sa esattamente quali sono le esigenze di ognuno. Ci sono tanti allenatori che magari capiscono molto di calcio e sulla carta sarebbero bravissimi, però non sanno guidare il gruppo, e a quel punto non serve a niente avere tutte quelle conoscenze perchè finisci col litigare e farti allontanare. Poi ci sono i tecnici come Mourinho, che non hanno mai giocato, ma sono perfetti perchè entrano nel cuore e nella testa dei giocatori. Roberto è la giusta via di mezzo, e secondo me è pronto per una big".
IL RITORNO IN PARAGUAY - "Sono tornato nel 2012, vestendo la maglia del Cerro Porteño, poi ho vestito le maglie di Nacional (di Asuncion, ndr), Sol de America e ora sono all'Independiente Fbc. Ora che sto cominciando a smettere di giocare, mi rendo conto che ho completamente sbagliato il momento per tornare in Paraguay: sarei dovuto tornare adesso che ho 36 anni, e non così presto. L'Italia mi manca molto, ho tanti amici e spero di tornarci presto, anche per iniziare la mia futura carriera da allenatore/preparatore. Sono stato molto bene in ogni club del Paraguay, ma il mio futuro è in Italia e vorrei stabilirmi lì. Il calcio paraguaiano è cresciuto un po', però ci manca qualcosa rispetto ai team brasiliani e argentini: hanno più intensità, più qualità, un altro tipo di investimenti e non a caso si giocano sempre tra di loro la Libertadores e macinano successi. Il Paraguay può crescere se avrà pazienza e continuerà a investire tempo e risorse sui giovani: ci sono tanti giovani talenti che stanno esplodendo e possono fare grandi cose in futuro. Una pazienza che sta mancando ad esempio in Nazionale, dove i commissari tecnici finiscono subito sotto pressione e non riescono a creare un progetto: dovremmo imitare la Colombia, che dopo aver saltato un paio di Mondiali ha ottenuto i frutti di un progetto sul lungo periodo, sfoderando talenti su talenti e facendo crescere i vari Cuadrado, Muriel ecc. O come l'Uruguay, che ha dei grandi veterani, ma sta anche lanciando giovani come Valverde, Bentancur e Nunez ed è sempre ai Mondiali, non steccando un colpo. Qui invece si pensa solo a vincere la singola competizione, senza poi riuscirci, e c'è grande confusione".
UN TALENTO DAL PARAGUAY - "Ivan Franco è il miglior talento del paese: è un trequartista/seconda punta giovane e dalla buona tecnica, che sta crescendo bene e per crescere ulteriormente dovrebbe sbarcare in Europa, magari proprio in Serie A. Se non passi al livello successivo, è difficile proseguire in un percorso di crescita, perchè in Europa ormai a 18/20 anni si gioca in Champions League e si matura più velocemente. Personalmente credo che i giovani come Ivan Franco debbano fare un po' come ho fatto io, sbarcando giovani in Europa e crescendo in quel continente, magari attraverso qualche prestito che gli consenta di giocare e mettersi in mostra, non necessariamente per il club che li acquista".
LA LIBERTADORES - "La finale sarà molto equilibrata. Il Palmeiras è molto forte dal punto di vista tattico, il Santos gioca molto bene: è difficile fare previsioni, anche perchè la gara secca, che c'è da poco in Sudamerica, aggiunge pressione ed emozioni. Personalmente tifo per il Palmeiras: il capitano è Gustavo Gomez (l'ex Milan), paraguaiano come me, ma può finire in tutti i modi".
IL RIMPIANTO - "Non ho rimpianti per la mia breve esperienza in Nazionale. Ho giocato solo un match in Nazionale nel 2011, ma se nei dieci anni precedenti non sono mai stato convocato, vuol dire che altri erano più forti o più in forma di me. Il mio rimpianto è di aver lasciato troppo presto l'Italia: col senno di poi, avevo le qualità per restare ancora molto tempo in Serie A e in Europa. Quando allenerò, cercherò di evitare che i giovani ripetano questo ed altri errori che ho commesso nella mia carriera".