Giuseppe Marotta, presidente dell'Inter, è intervenuto in regione Lombardia durante l’evento: "Il fischio che unisce – Costruire una cultura di rispetto nello sport", presso il Belvedere Silvio Berlusconi di Palazzo Lombardia: "Sappiamo tutti che il calcio è un fenomeno di forte aggregazione, è un fenomeno sportivo perché ci sono promozioni, vittorie, sconfitte. Ma è soprattutto un fenomeno di carattere sociale, un contenitore di grandissimi valori che deve favorire l'inclusione, tema delicatissimo e importante. Chi fa calcio, in questo caso le società, hanno dei grandissimi obblighi. Noi abbiamo 15 squadre del settore giovanile, più altre sette di settore giovanile e prima squadra femminile, per un totale di circa 300 atleti. E' chiaro che la missione principale è anzitutto favorire il fatto che ci siano atleti propedeutici al fatto di giocare in prima squadra, ma poi è una palestra di vita, quindi il nostro obbligo è quello di educarli. Sicuramente non facciamo tutto il necessario perché credo che ogni forma di violenza verso l'arbitro nasca soprattutto da una cattiva educazione, dal fatto di non recepire fino in fondo i messaggi, anche da parte dei dirigenti. Gli atti di violenza consumati dai dirigenti sono superiori rispetto a quelli dei calciatori che sono in campo o degli allenatori. Questo la dice lunga sul fatto che ci si trova spessissimo a ricoprire ruoli dirigenziali senza avere l'adeguata preparazione. "Io ho la fortuna di essere in una società professionistica e quindi di avere a disposizione un budget tale da darmi la possibilità di avere a che fare con professionisti del settore educativo, che danno un supporto a noi dirigenti nel far crescere questi ragazzi. Il fatto di educarli e farli crescere, cercando di far capire loro i valori più importanti, dovrebbe facilitare questo percorso. Ma credo che un fenomeno che condiziona ancora oggi l'attività agonistica della nostra Italia, a differenza di tanti Paesi del nord Europa, è la mancanza della cultura della sconfitta. Noi non siamo capaci di perdere. E quando non siamo capaci di perdere si dà spazio a reazione istintive che portano alla violenza. Sarebbe bello andare a fare un paragone con quello che succede all'estero, soprattutto nei paesi nordici. Gli atti di violenza secondo me nascono soprattutto da questo concetto, ossia il fatto di non conoscere la cultura della sconfitta, che va di pari passo con la cultura della vittoria. La cultura della vittoria è importante per stimolare i nostri atleti a vincere. Bisogna sapere cosa vuol dire soffrire, avere spirito di sacrificio e così vincere. Sta a noi cercare di fare questo. Come Inter, noi lo facciamo attraverso un percorso didattico, anche nelle scuole, attraverso iniziative che portiamo avanti, come 'Il calcio in cattedra', per inculcare i valori più importanti. Lo facciamo all'interno del nostro club, non a caso abbiamo ben 4 di quelli che un tempo erano definiti 'addetti agli arbitri'. Ma l'addetto all'arbitro di oggi non è quello che aspetta l'arbitro, lo accoglie e lo porta negli spogliatoi. E' soprattutto quello che durante la settimana insegna ai nostri calciatori, anche quelli della prima squadra, a seguire le regole del gioco che qualcuno ignora. In Prima Squadra gli atti di violenza sono contenuti perché sono dei professionisti e non si lasciano andare ad atti di violenza fisica. Nei settori dilettantistici e amatoriali purtroppo ci sono scontri violenti perché alla fine chi gioca a calcio magari fa tutt'altro nella vita e non si fa il problema a dare un pugno all'arbitro, ad esempio. Il referee manager ha come obiettivo, ed è una cosa che secondo me dovrebbe essere obbligatoria all'interno dei club, di educare i giovani e i meno giovani a conoscere le regole del gioco, perché la conoscenza è sicuramente un grosso deterrente".
di Redazione
14/11/2025 - 19:12
Giuseppe Marotta, presidente dell'Inter, è intervenuto in regione Lombardia durante l’evento: "Il fischio che unisce – Costruire una cultura di rispetto nello sport", presso il Belvedere Silvio Berlusconi di Palazzo Lombardia: "Sappiamo tutti che il calcio è un fenomeno di forte aggregazione, è un fenomeno sportivo perché ci sono promozioni, vittorie, sconfitte. Ma è soprattutto un fenomeno di carattere sociale, un contenitore di grandissimi valori che deve favorire l'inclusione, tema delicatissimo e importante. Chi fa calcio, in questo caso le società, hanno dei grandissimi obblighi. Noi abbiamo 15 squadre del settore giovanile, più altre sette di settore giovanile e prima squadra femminile, per un totale di circa 300 atleti. E' chiaro che la missione principale è anzitutto favorire il fatto che ci siano atleti propedeutici al fatto di giocare in prima squadra, ma poi è una palestra di vita, quindi il nostro obbligo è quello di educarli. Sicuramente non facciamo tutto il necessario perché credo che ogni forma di violenza verso l'arbitro nasca soprattutto da una cattiva educazione, dal fatto di non recepire fino in fondo i messaggi, anche da parte dei dirigenti. Gli atti di violenza consumati dai dirigenti sono superiori rispetto a quelli dei calciatori che sono in campo o degli allenatori. Questo la dice lunga sul fatto che ci si trova spessissimo a ricoprire ruoli dirigenziali senza avere l'adeguata preparazione. "Io ho la fortuna di essere in una società professionistica e quindi di avere a disposizione un budget tale da darmi la possibilità di avere a che fare con professionisti del settore educativo, che danno un supporto a noi dirigenti nel far crescere questi ragazzi. Il fatto di educarli e farli crescere, cercando di far capire loro i valori più importanti, dovrebbe facilitare questo percorso. Ma credo che un fenomeno che condiziona ancora oggi l'attività agonistica della nostra Italia, a differenza di tanti Paesi del nord Europa, è la mancanza della cultura della sconfitta. Noi non siamo capaci di perdere. E quando non siamo capaci di perdere si dà spazio a reazione istintive che portano alla violenza. Sarebbe bello andare a fare un paragone con quello che succede all'estero, soprattutto nei paesi nordici. Gli atti di violenza secondo me nascono soprattutto da questo concetto, ossia il fatto di non conoscere la cultura della sconfitta, che va di pari passo con la cultura della vittoria. La cultura della vittoria è importante per stimolare i nostri atleti a vincere. Bisogna sapere cosa vuol dire soffrire, avere spirito di sacrificio e così vincere. Sta a noi cercare di fare questo. Come Inter, noi lo facciamo attraverso un percorso didattico, anche nelle scuole, attraverso iniziative che portiamo avanti, come 'Il calcio in cattedra', per inculcare i valori più importanti. Lo facciamo all'interno del nostro club, non a caso abbiamo ben 4 di quelli che un tempo erano definiti 'addetti agli arbitri'. Ma l'addetto all'arbitro di oggi non è quello che aspetta l'arbitro, lo accoglie e lo porta negli spogliatoi. E' soprattutto quello che durante la settimana insegna ai nostri calciatori, anche quelli della prima squadra, a seguire le regole del gioco che qualcuno ignora. In Prima Squadra gli atti di violenza sono contenuti perché sono dei professionisti e non si lasciano andare ad atti di violenza fisica. Nei settori dilettantistici e amatoriali purtroppo ci sono scontri violenti perché alla fine chi gioca a calcio magari fa tutt'altro nella vita e non si fa il problema a dare un pugno all'arbitro, ad esempio. Il referee manager ha come obiettivo, ed è una cosa che secondo me dovrebbe essere obbligatoria all'interno dei club, di educare i giovani e i meno giovani a conoscere le regole del gioco, perché la conoscenza è sicuramente un grosso deterrente".