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A NAPOLI - Da mercoledì 6 novembre l’ingresso al Madre costa la metà: un’occasione eccezionale per visitare a soli 4 euro le mostre in corso
14.11.2019 21:03 di Redazione

#ilMadrepertutti

 

06 — 30.11.2019

 

Un biglietto ridotto a 4 euro per visitare le mostre in corso e il nuovo allestimento della collezione site-specific al primo piano.

 

Da mercoledì 6 novembre l’ingresso al Madre costa la metà: un’occasione eccezionale per visitare a soli 4 euro le mostre in corso – Astarte’s Cosmic Symphony dell’artista libanese Zena el Khalil (fino al 11.11.2019) e  Whisper Only to You (fino al 13.01.2020) dell’artista sud-coreana Yeesookyung – e il nuovo allestimento nelle sale monografiche al primo piano del museo, in cui la collezione site-specific sarà posta in dialogo con una selezione delle opere del progetto Per_formare una collezione, attraverso accostamenti inediti che rileggono le opere riflettendo sulla mutazione permanente dello spazio-tempo della loro fruizione.

 

Le opere di Mario Garcia Torres presentate nella sua mostra personale al Madre nel 2013 (La lezione di Boetti. Alla ricerca del One Hotel, Kabul) The Given Texture of a Striven Gesture (2013) e An Image I Wanted to Share with You (2013), assieme a Cartolina postale (1993) di Alighiero Boetti, saranno esposte nella sala che ospita l’affresco murario Ave Ovo (2005) di Francesco Clemente. La mostra di Garcia Torres generava da una riflessione sulla pratica di un artista come Alighiero Boetti, uno dei massimi artisti del XX secolo, e comprendeva opere prodotte da Garcia Torres durante la sua ricerca sull’One Hotel di Kabul, in Afghanistan, luogo di residenza e produzione di Boetti dal 1971 al 1977. Il nuovo accostamento scaturisce in primo luogo da un dato storico: Clemente, infatti, fu uno dei primi ospiti di Boetti nella sua guest house di Kabul. I tappeti di Torres, inoltre, si connettono, sottolineandola, a quella pratica di recupero estetico dell’artigianalità e della manualità propria anche della ricerca artistica di Clemente.

 

Passo Triplo (2016) di Francesco Arena viene posta in confronto diretto con 10000 Lines (2005), due wall paintings di Sol LeWitt. Arena si interroga sul peso della storia e della memoria contemporanea nella costruzione del presente, realizzando un’opera composta, secondo precise misure e istruzioni date a priori dall’artista, da barre di bronzo i cui segmenti corrispondono alla lunghezza di un passo dell’artista. LeWitt propone a priori una gamma di variazioni della linea retta sovrapposte in quattro direzioni, sistema che poi applicato e sviluppato in grande scala dai suoi assistenti, ridisegnandolo minuziosamente su larghe superfici murarie. Entrambi gli artisti operano quindi un’astrazione dal reale, seguendo regole e principi precodificati, che culmina nella creazione di topografie concettuali.

 

L’amore (1971) di Fausto Melotti suggerisce sin dal titolo l’aspirazione a rappresentare attraverso la scultura i sentimenti e le idee umane. Basata sulla purezza degli elementi che la compongono, l’opera racchiude una sensualità allusiva grazie alla quale le forme astratte acquistano un’inaspettata corporeità. La luce svolge un ruolo cruciale nell’animare e trasformare le superfici, facendosi punto di giunzione tra rettilineo e curvilineo, idea e materia, razionalità e immaginazione, visibile e invisibile. In modo analogo, Il cielo di San Gennaro (2005) di Luciano Fabro testimonia le sperimentazioni operate da uno dei principali esponenti dell’Arte povera, e uno dei più grandi scultori emersi nella seconda metà del XX secolo, su iconografie e materiali, riscrivendo forme, storie e idee predeterminate e stimolando un nuovo coinvolgimento percettivo e intellettuale in relazione allo spazio, al tempo e all’idea stessa che l’opera dischiude e rivela.

 

In Annerose&Me e Benson&Hedges (2014), Mark Leckey esplora come l’identità personale e l’immaginario collettivo siano riplasmati dal nostro desiderio e come esso sia a sua volta determinato da una sensibilità sempre più evanescente, da una fluttuazione costante fra analogico e digitale, realistico e fantasmatico: posti sulle due facce di un pannello pubblicitario a pavimento, i due manifesti che compongono l’opera (già esposta nella mostra dell’artista al Madre, DESIDERATA (in medias res), 2015) vengono messi a confronto con i due teleri, Untitled, di Jeff Koons (2005). Leckey aveva dedicato nel 2004 l’opera video-filmica Made in ’Eaven proprio alla seminale scultura Rabbit (1986) di Koons, autore a partire dagli anni Ottanta di una magistrale reinvenzione delle logiche della Pop Art, indagando aspetti eterogenei che vanno dal materialismo al consumismo, dal concetto di potere a quello dell’arte stessa.

 

Il trittico Pittura GR (1976) di Pino Pinelli trova un interlocutore in Dark Brother (2005) di Anish Kapoor. Pur nelle loro opposte dimensioni (piccolo/grande) e conformazioni ambientali (aggettante dalla parete/sprofondante nel pavimento), queste opere sono composte da monocromi dispersi e entrambe restituiscono una densità tattile alla pittura, intesa come “organismo che sta nello spazio” e nel tempo, entità materica e fantastica volta a ridefinire l’orizzonte percettivo e conoscitivo dell’osservatore. L’utilizzo dei pigmenti di colore puro da parte di Pinelli e di Kapoor testimonia inoltre una comune ricerca sulla percezione del colore in grado di articolare fra loro pittura e scultura, oscillando fra pieno e vuoto, concavo e convesso, rigore geometrico e evocazione naturale.

 

Le forme al contempo classiche e oniriche di La Donna dei nodi (1973) di George Brecht, tra i principali animatori delle eclettiche ricerche Fluxus, condivideranno la loro matrice surrealista con le capuzzelle e gli specchi di Rebecca Horn (Spirits, 2005). Se le procedure poetiche e i processi linguistici di Fluxus appaiono di difficile definizione e delimitazione, la relazione fra le due opere innesca nondimeno una riflessione modulata sui temi della vanitas, sulla relazione fra opera d’arte e corpo fisico, fra comportamento e idea: elementi comuni anche alla pur autonoma ricerca performativa sul corpo (femminile) operata anche da Horn, nell’ambito della sua ricerca artistica.

 

L’immagine del Vesuvio, Untitled (2017), di Wade Guyton è stampata, a partire da un file digitale, sul supporto di una tela di lino piegata a metà, in un processo di produzione che spinge lo strumento tecnico oltre i suoi limiti e la riconoscibilità dell’immagine al limite delle sue stesse potenzialità. Una duplicità mimetica che è alla base anche delle opere Untitled (2008) e Broken Two Way Mirror, n. 2 (2009) di Pádraig Timoney, composte da una tela trattata come se fosse uno specchio riflettente e da uno specchio dipinto come se fosse una tela astratta. Le opere, che verranno allestite nella doppia sala che ospita Giuditta e Oloferne (2005) di Richard Serra, fondono fra loro componenti e riferimenti differenti (analogico e digitale, oggettivo e immaginifico, bi- e tri-dimensionale) concentrandosi sui processi metaforici in grado di riscrivere i codici alla base delle pratiche della pittura, della scultura e dell’architettura, amplificando le caratteristiche del materiale di cui sono composte e rappresentando, infine, multiformi versioni sul tema del doppio.

 

Mettendo in dialogo le opere ambientali al primo piano con opere di artisti diversi, come già accaduto nel 2017 in occasione della mostra Pompei@Madre. Materia Archeologica, il Madre prosegue l’ampliamento e l’approfondimento delle matrici e degli sviluppi della sua collezione permanente. L’accostamento fra lavori di artisti differenti per provenienza, ricerca, materia e generazione ribadisce l’impianto teorico che anima la collezione museale, e in particolare il progetto Per_ formare una collezione che si è proposto, in ogni suo nuovo capitolo, quale strumento duplice, che tiene conto del passato in una relazione viva con il presente, in cui la collezione non è solo un luogo di memoria e di conservazione ma anche un laboratorio di produzione e di ricerca in corso.

 

Il biglietto ridotto al costo di 4 euro resterà in vigore fino all’inaugurazione delle prossime mostre previste nel programma invernale al piano terra e al secondo e terzo piano del museo.

 

FOTO: Jeff Koons, Untitled, 2005. / Mark Leckey, Annerose&Me, 2014. (dettagli). Foto © Amedeo Benestante.

 

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di Napoli Magazine

14/11/2024 - 21:03

#ilMadrepertutti

 

06 — 30.11.2019

 

Un biglietto ridotto a 4 euro per visitare le mostre in corso e il nuovo allestimento della collezione site-specific al primo piano.

 

Da mercoledì 6 novembre l’ingresso al Madre costa la metà: un’occasione eccezionale per visitare a soli 4 euro le mostre in corso – Astarte’s Cosmic Symphony dell’artista libanese Zena el Khalil (fino al 11.11.2019) e  Whisper Only to You (fino al 13.01.2020) dell’artista sud-coreana Yeesookyung – e il nuovo allestimento nelle sale monografiche al primo piano del museo, in cui la collezione site-specific sarà posta in dialogo con una selezione delle opere del progetto Per_formare una collezione, attraverso accostamenti inediti che rileggono le opere riflettendo sulla mutazione permanente dello spazio-tempo della loro fruizione.

 

Le opere di Mario Garcia Torres presentate nella sua mostra personale al Madre nel 2013 (La lezione di Boetti. Alla ricerca del One Hotel, Kabul) The Given Texture of a Striven Gesture (2013) e An Image I Wanted to Share with You (2013), assieme a Cartolina postale (1993) di Alighiero Boetti, saranno esposte nella sala che ospita l’affresco murario Ave Ovo (2005) di Francesco Clemente. La mostra di Garcia Torres generava da una riflessione sulla pratica di un artista come Alighiero Boetti, uno dei massimi artisti del XX secolo, e comprendeva opere prodotte da Garcia Torres durante la sua ricerca sull’One Hotel di Kabul, in Afghanistan, luogo di residenza e produzione di Boetti dal 1971 al 1977. Il nuovo accostamento scaturisce in primo luogo da un dato storico: Clemente, infatti, fu uno dei primi ospiti di Boetti nella sua guest house di Kabul. I tappeti di Torres, inoltre, si connettono, sottolineandola, a quella pratica di recupero estetico dell’artigianalità e della manualità propria anche della ricerca artistica di Clemente.

 

Passo Triplo (2016) di Francesco Arena viene posta in confronto diretto con 10000 Lines (2005), due wall paintings di Sol LeWitt. Arena si interroga sul peso della storia e della memoria contemporanea nella costruzione del presente, realizzando un’opera composta, secondo precise misure e istruzioni date a priori dall’artista, da barre di bronzo i cui segmenti corrispondono alla lunghezza di un passo dell’artista. LeWitt propone a priori una gamma di variazioni della linea retta sovrapposte in quattro direzioni, sistema che poi applicato e sviluppato in grande scala dai suoi assistenti, ridisegnandolo minuziosamente su larghe superfici murarie. Entrambi gli artisti operano quindi un’astrazione dal reale, seguendo regole e principi precodificati, che culmina nella creazione di topografie concettuali.

 

L’amore (1971) di Fausto Melotti suggerisce sin dal titolo l’aspirazione a rappresentare attraverso la scultura i sentimenti e le idee umane. Basata sulla purezza degli elementi che la compongono, l’opera racchiude una sensualità allusiva grazie alla quale le forme astratte acquistano un’inaspettata corporeità. La luce svolge un ruolo cruciale nell’animare e trasformare le superfici, facendosi punto di giunzione tra rettilineo e curvilineo, idea e materia, razionalità e immaginazione, visibile e invisibile. In modo analogo, Il cielo di San Gennaro (2005) di Luciano Fabro testimonia le sperimentazioni operate da uno dei principali esponenti dell’Arte povera, e uno dei più grandi scultori emersi nella seconda metà del XX secolo, su iconografie e materiali, riscrivendo forme, storie e idee predeterminate e stimolando un nuovo coinvolgimento percettivo e intellettuale in relazione allo spazio, al tempo e all’idea stessa che l’opera dischiude e rivela.

 

In Annerose&Me e Benson&Hedges (2014), Mark Leckey esplora come l’identità personale e l’immaginario collettivo siano riplasmati dal nostro desiderio e come esso sia a sua volta determinato da una sensibilità sempre più evanescente, da una fluttuazione costante fra analogico e digitale, realistico e fantasmatico: posti sulle due facce di un pannello pubblicitario a pavimento, i due manifesti che compongono l’opera (già esposta nella mostra dell’artista al Madre, DESIDERATA (in medias res), 2015) vengono messi a confronto con i due teleri, Untitled, di Jeff Koons (2005). Leckey aveva dedicato nel 2004 l’opera video-filmica Made in ’Eaven proprio alla seminale scultura Rabbit (1986) di Koons, autore a partire dagli anni Ottanta di una magistrale reinvenzione delle logiche della Pop Art, indagando aspetti eterogenei che vanno dal materialismo al consumismo, dal concetto di potere a quello dell’arte stessa.

 

Il trittico Pittura GR (1976) di Pino Pinelli trova un interlocutore in Dark Brother (2005) di Anish Kapoor. Pur nelle loro opposte dimensioni (piccolo/grande) e conformazioni ambientali (aggettante dalla parete/sprofondante nel pavimento), queste opere sono composte da monocromi dispersi e entrambe restituiscono una densità tattile alla pittura, intesa come “organismo che sta nello spazio” e nel tempo, entità materica e fantastica volta a ridefinire l’orizzonte percettivo e conoscitivo dell’osservatore. L’utilizzo dei pigmenti di colore puro da parte di Pinelli e di Kapoor testimonia inoltre una comune ricerca sulla percezione del colore in grado di articolare fra loro pittura e scultura, oscillando fra pieno e vuoto, concavo e convesso, rigore geometrico e evocazione naturale.

 

Le forme al contempo classiche e oniriche di La Donna dei nodi (1973) di George Brecht, tra i principali animatori delle eclettiche ricerche Fluxus, condivideranno la loro matrice surrealista con le capuzzelle e gli specchi di Rebecca Horn (Spirits, 2005). Se le procedure poetiche e i processi linguistici di Fluxus appaiono di difficile definizione e delimitazione, la relazione fra le due opere innesca nondimeno una riflessione modulata sui temi della vanitas, sulla relazione fra opera d’arte e corpo fisico, fra comportamento e idea: elementi comuni anche alla pur autonoma ricerca performativa sul corpo (femminile) operata anche da Horn, nell’ambito della sua ricerca artistica.

 

L’immagine del Vesuvio, Untitled (2017), di Wade Guyton è stampata, a partire da un file digitale, sul supporto di una tela di lino piegata a metà, in un processo di produzione che spinge lo strumento tecnico oltre i suoi limiti e la riconoscibilità dell’immagine al limite delle sue stesse potenzialità. Una duplicità mimetica che è alla base anche delle opere Untitled (2008) e Broken Two Way Mirror, n. 2 (2009) di Pádraig Timoney, composte da una tela trattata come se fosse uno specchio riflettente e da uno specchio dipinto come se fosse una tela astratta. Le opere, che verranno allestite nella doppia sala che ospita Giuditta e Oloferne (2005) di Richard Serra, fondono fra loro componenti e riferimenti differenti (analogico e digitale, oggettivo e immaginifico, bi- e tri-dimensionale) concentrandosi sui processi metaforici in grado di riscrivere i codici alla base delle pratiche della pittura, della scultura e dell’architettura, amplificando le caratteristiche del materiale di cui sono composte e rappresentando, infine, multiformi versioni sul tema del doppio.

 

Mettendo in dialogo le opere ambientali al primo piano con opere di artisti diversi, come già accaduto nel 2017 in occasione della mostra Pompei@Madre. Materia Archeologica, il Madre prosegue l’ampliamento e l’approfondimento delle matrici e degli sviluppi della sua collezione permanente. L’accostamento fra lavori di artisti differenti per provenienza, ricerca, materia e generazione ribadisce l’impianto teorico che anima la collezione museale, e in particolare il progetto Per_ formare una collezione che si è proposto, in ogni suo nuovo capitolo, quale strumento duplice, che tiene conto del passato in una relazione viva con il presente, in cui la collezione non è solo un luogo di memoria e di conservazione ma anche un laboratorio di produzione e di ricerca in corso.

 

Il biglietto ridotto al costo di 4 euro resterà in vigore fino all’inaugurazione delle prossime mostre previste nel programma invernale al piano terra e al secondo e terzo piano del museo.

 

FOTO: Jeff Koons, Untitled, 2005. / Mark Leckey, Annerose&Me, 2014. (dettagli). Foto © Amedeo Benestante.